venerdì 13 settembre 2013

Altro che HD, la paura rende meglio in Super8

Passato al Fright Fest 2012, per certi versi simile a The Conjuring, merita attenzione anche questo film. Ufficialmente niente di nuovo, compresa la presenza prezzemolo di Ethan Hawke ormai avvezzo a film di genere, è una pellicola che scorrazza allegramente lungo sentieri consolidati del cinema de paura, ma a mio parere ha qualcosa che lascia il segno.



La storia, santo cielo, è sempre quella: c’è una famigliola che si trasferisce in una bella casa fuori dal casino della città, aria buona e gente alla mano


Lui (il nostro) è uno scrittore alla Lucarelli, che ha fatto successo con un libro su un caso di cronaca nera. Un po’ per riprovarci, un po’ perché è al verde, pensa di scrivere un altro libro del genere, e siccome da bravo cronista che si vuole documentare bene vuol essere sempre sul pezzo, ha la brillante idea di andare a vivere proprio nella casa dove è avvenuto un fatto di sangue. Ovviamente all’insaputa della moglie e tanto meno della figlioletta.

Vi sono venuti in mente mille altri film? Esatto.

Qui però succede qualcosa, per il bene del film. Naturale che la permanenza in quella casa si rivelerà molto dannosa per la famigliola, ma ciò a causa di uno specifico elemento: in soffitta lo scrittore trova una serie di filmini Super 8 che mostrano delitti del passato, sempre a base di famiglie sterminate, come quella di lui è andato ad occupare la casa. Chi li ha girati? Chi vuole lasciargli un messaggio, e perché? Lo scopriremo solo vedendo con lui quei filmini. E qui sta il bello del film. Un po’ casa stregata, un po’ found footage, il regista Scott Derrikson ci costringe a vedere e rivedere quei filmati, ossessivamente, siamo lì con Ethan Hawke nel suo studio buio, e questi Super 8 per quanto mi riguarda sono davvero inquietanti, a cominciare da quello che apre il film a mo’ di preview, tanto per far capire a che cosa andiamo incontro, mostrando un’allegra impiccagione multipla (si trova su Youtube).
Ovvio che oltre a essere il marchio dell’intera operazione, quei filmati conterranno anche la soluzione del caso, ma questo importa poco. Ethan Hawke che guarda e riguarda più e più volte quei filmati, nel tentativo di condurre la sua personale indagine, costringe lo spettatore a presenziare con lui a quelle sinistre visioni. A lui, cioè a noi, la scelta se guardare o no. A parte il discorso latente sull’effetto negativo di visioni violente, che lascio agli studiosi ma che si coglie, Sinister resta un film di genere che crea un’inquietudine asimmetrica, tutta giocata sul pezzo forte che sono questi maledetti filmini amatoriali. Mentre in The conjuring la tensione è una condizione innescata fin dall’inizio, qui si va per alti e bassi, momenti di latitanza prima di picchi di emotività violenta. A ben vedere la trama è secondaria, le prove degli attori pure, tutto ruota intorno al fascino macabro e ipnotico del contenuto dei filmini. Con un paio di classici colpi per saltare sulla sedia che possono sorprendere anche lo spettatore più disincantato.

Il finale è il punto debole del film. Dopo la rivelazione che esplicita il segreto dei Super 8, c’è uno showdown, anche questo non nuovo, che accenna ad una serie di conseguenze narrative che costituirebbero materiale per un altro film. È un po’ come se Sinister fosse un film e mezzo: il primo fino alla rivelazione, più un altro che comincia da lì ma si interrompe frettolosamente.

Ma un film e mezzo è sempre meglio di un mezzo film.

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