domenica 18 agosto 2013

"The bridge", l'elogio del doppio





Su Fox Crime sono state trasmesse le prime quattro puntate, prima della pausa estiva. E’una serie americana remake di una nordica (“Bron”), che ha un incipit molto interessante: su un ponte al confine tra Stati Uniti e Messico viene ritrovato il cadavere di una giudice che si occupava di immigrazione clandestina. Sul posto arrivano una detective americana, Sonya Cross, interpretata da Diane Kruger, e uno messicano, Marco Ruiz (Demian Bichir). Fanno una macabra scoperta: il cadavere è tagliato in due all’altezza del bacino. Meglio ancora: le due metà appartengono a due persone diverse. Quella superiore è della giudice, mentre la parte inferiore è di una giovane messicana scomparsa.



Fatta la necessaria premessa di trama, con questo espediente un po’ horror per acchiappare il pubblico dalla prima puntata, vengo al senso del post. Perché in The Bridge tutto è giocato sul filo del doppio.
Fin dal titolo. Il ponte rappresenta il collegamento tra due stati, o meglio due mondi, gli USA e il Messico, le cui differenze culturali e di usi e costumi sono continuamente sottolineate dalle parole e dall’agire dei personaggi.

I personaggi, già: lei americana e lui messicano sembrano una coppia da buddy movie, che dopo l’iniziale diffidenza per non dire ostilità porterà ad una maggiore collaborazione (fino a qual punto lo scopriremo), come da cliché.

Ma il bello è che i due protagonisti sono a loro volta dei doppi: Sonya Nord è glaciale, maniacale sul lavoro, sembra fidarsi solo del suo capo, apparentemente inadatta alle relazioni, capace di entrare in locale, addocchiare un macho e chiedergli direttamente se vuole fare sesso con lei.
Però viene lanciato un sassolino nello stagno del suo passato: qualcosa che ha a che fare con la scomparsa di una sorella e con dei cavalli. E’ l’unico momento in cui si lascia andare, in presenza del suo fido capo, è il momento in cui la scorza si incrina e una lacrima scioglie il suo ghiaccio. Cosa sarà questo trauma del passato ce lo diranno le prossime puntate.
Anche il messicano non è monocolore: è legato alla famiglia, si consulta spesso con la moglie, che sta per dargli un altro figlio, ma non resiste al fascino di Charlotte (Annabeth Gish), moglie di un proprietario terriero americano che era solito fare la spola tra il Texas e il Messico, per motivi non proprio legali.

A ben vedere, è doppio anche l’incipit, perché sul ponte del ritrovamento dei cadaveri dimezzati passa anche il destino di Charlotte e di suo marito, infartuato su un’ambulanza proveniente dal Messico che Sonya non vuol far passare per non contaminare la scena del crimine e Marco si.
Anche Charlotte deve fare i conti con la doppia vita di suo marito.
Quindi su quel ponte parte anche una doppia traccia narrativa: quella dei cadaveri a metà e quella dei traffici dell’infartuato.

Le prime quattro puntate mi hanno fatto una buona impressione. L’intreccio fa presagire qualcosa di complesso ma non confuso, il tema del doppio, a me caro e caro agli sceneggiatori di gialli e noir, frequentato quasi sempre in chiave psicologica da Hitchcock in poi, è sapientemente incastonato in una trama da thriller solido. L’ambientazione di frontiera fa sempre un po’ western, il calore, il sudore e la fisicità di certi personaggi e certi luoghi conferiscono al tutto un atmosfera un po’ malata e sul chi va là. Alle prossime puntate, dunque…

 

 

 

giovedì 15 agosto 2013

Perchè questo blog


Dicono che un blog serva a raccontare di sé. Con il rischio di essere autoreferenziali. Io non vorrei che fosse così. Ecco perché ho scelto di aprire un blog “settoriale”, che non racconta direttamente di me, ma di una parte dei miei interessi. E sottolineo una parte.

Chi mi conosce sa che coltivo molte passioni. Un blog che mi rappresenti in toto, una specie di diario universale dei miei pensieri incasinati, probabilmente sarebbe per me ingestibile e per il resto del mondo illeggibile.

Non ne vedo la necessità.

Per questo ho scelto di limitarmi a una parte di me. Quella che si interessa di letteratura, cinema e visioni in generale.

Di più: in questo ambito, mi limito a pochi generi, ben precisi.

Il giallo, il thriller, l’horror.

Vorrei che questo blog fosse uno spazio, per me e per chi vorrà accomodarsi, per commentare quello che colpisce di più in questi generi. Ciò che aggiunge qualcosa, nel bene e nel male.

Ecco perché colpo di scena .

In senso lato. Un colpo di scena è un romanzo che sorprende e non dà tregua, un film che lascia il segno, ma anche che passi una settimana senza che Camilleri abbia pubblicato un libro (non voglio tirargliela, sia chiaro!).

Sulla sinistra della pagina troverete i miei contatti e i miei link, rappresentati da siti o blog che frequento e che ritengo utili per le tematiche di cui sopra, in un elenco aggiornabile.

Sulla destra invece le pagine principali.

Libri e libertà vuole essere, nelle intenzioni, lo spazio più frequentato. Dove mi permetterò di postare recensioni (anche negative, ovvio), ai romanzi più venduti così come alle opere di sconosciuti, magari autoprodotti. Non è escluso che si discuterà anche di tutto ciò che ruota intorno al mondo della letteratura, compreso le nuove forme di editoria elettronica. Non a caso, uno dei miei link è a The incipit, che rappresenta un interessante esperimento, in cui anche il sottoscritto si è cimentato, di comporre racconti online le cui svolte narrative sono votate dai lettori.

Le uniche opere di cui non mi occuperò sono quelle finite nel tunnel dell’editoria a pagamento. Le tralascio per ragioni, diciamo, etiche.

Cinema per non dormire vuole mettere in risalto film di genere che abbiano qualche elemento di interesse (colpo di scena, ricordate?). Anche qui: non è detto che non si parli male di un film. Esistono pellicole, tipo Tulpa di Zampaglione, che hanno grandissimi spunti di interesse, per varie ragioni, ma che nel complesso non si meritano certo 10 come voto.

Serie TV “serie”. Penso che la scelta del titolo per questa pagina sia indicativa. Non sarà la sezione principale del blog, almeno all’inizio, ma se sono stato chiaro sul filo conduttore di questo sito, immaginerete cosa si intenda con l’aggettivo serie.

Concludono la sezione destra del blog due pagine prettamente personali (qui sì che sono autoreferenziale, concedetemelo!), in quanto dedicate a due miei lavori attualmente in vendita.

Il contenuto misterioso è un racconto molto particolare, si legge in mezz’ora al prezzo di un caffè.

Eredità inattesa è il mio primo romanzo, di cui vado fiero. Una storia che mi frullava in testa da un bel po’, fino a quando due estati fa ha iniziato a scendere sui tasti del computer. E soprattutto, pochi mesi fa, è piaciuto all’editore ePubblica.

Buona navigazione e grazie se vorrete partecipare ad ogni colpo di scena!

mercoledì 14 agosto 2013

L’ultimo Lucarelli, ovvero il sogno di leggere un buon libro.

Mi dispiace scrivere una recensione del genere. Non volevo proprio. Però non posso esimermi.

Non nutrivo eccessive aspettative per Il sogno di volare, l’ultimo romanzo di Carlo Lucarelli, mi bastava una semplice e piacevole lettura estiva. Non chiedevo un page turner, mi bastava un buon passatempo. Invece non è così.




Lucarelli è un bravo scrittore, personalmente non è tra i miei preferiti (infatti non ho letto tutto di lui, lo confesso senza problemi), ma credo che possa a buon diritto definirsi “giallista”, come fa lui stesso nella chiosa finale del libro.

Il problema è che stavolta non ne azzecca una. Vediamo di analizzare un po’ meglio questo problema, allora.

Innanzitutto, la trama. Non pretendo le evoluzioni di un Grangé, di cui sicuramente dirò su questo blog, però santo cielo un po’ di costruzione sì, Lucarelli! No no no…qui ci sono pochi omicidi, di un tizio che sbrana letteralmente le vittime, a cui poi strappa il cuore a morsi. Un po’ di classico brancolare nel buio, una pista che si materializza grazie all’ascolto di un file audio su un blog (guarda il caso, alle volte…solo che io non sono ancora un serial killer), una persona erroneamente messa in mezzo, poi la polizia, in coabitazione con i carabinieri più per vicende sentimentali della protagonista che per spirito di collaborazione, individua colui che potrebbe essere il Cane, come con grande fantasia viene ribattezzato il nostro crudele assassino.

Praticamente è più lungo il riassunto che ne ho fatto io che la trama stessa. Per tacere della motivazione finale, che ovviamente non sfioro nemmeno. Basti sapere che viene un po’ buttata lì man mano che le indagini (…) avanzano, scordatevi invece un bel confronto finale serrato con l’assassino circa le sue intenzioni e su ciò che lo anima (è uno spoiler? Non me ne sono accorto e comunque non rivela un cazzo).

Poi i personaggi. Grazia Negro esisteva già in Almost Blue, qui viene aggiornata con le sue problematiche sentimentali e materne. I personaggi di contorno, rappresentanti delle forze dell’ordine, vengono identificati dal portare sempre un sigaro spento in bocca o dal ripetere incessantemente “porco can”. Un po’ poco, secondo me.

Un’altra cosa che non mi è piaciuta è che per paginate intere non si capisce se si stia leggendo un presunto thriller o un più sicuro harmony. E qui intervengono le già citate paturnie sentimentali della protagonista, sospesa tra il suo ragazzo non vedente con cui qualcosa non funziona più, e una storia forse nascente con un collega carabiniere, Pierluigi, un rosso dai modi gentili. Tutto interessante, grazie, peccato che non me ne freghi una mazza. Se il livello di sbrodolamento sentimentale rimane ben confinato è tutto ok, altrimenti mi permetto di ricordare all’Autore che io volevo leggere un giallo.

Vogliamo parlare degli omicidi? Qui Lucarelli si supera, perché:

- non descrive in diretta la coreografia degli omicidi

- non narra nemmeno del ritrovamento dei cadaveri, se non nel caso dell’ultimo omicidio.

Succede quindi che saltiamo a piè pari dal momento precedente l’omicidio alle successive indagini. Boh…

Ultima cosa, i deliranti deliri dell’assassino. Cito testualmente, da p. 32:

arrivo arrivo arrivo adesso arrivo tranquilli che arrivo ci penso io a voi brutti stronzi maledetti che non capite un cazzo non avete mai capito un cazzo e mai lo capirete mai

E avanti così per altre venti righe. Se questo è l’immancabile delirio dell’assassino, fondamentale perché si crei una malsana empatia tra il lettore e colui che con le sue gesta dovrebbe tenerlo sveglio, non ci siamo proprio, mi pare.

In conclusione, non so se si è capito: Il sogno di volare non mi è piaciuto proprio. Non so se è stato composto per onorare una scadenza con Einaudi, o se è semplicemente stato scritto con il lato sinistro del cuore. Quello che è certo è che mi fa rivalutare il Lucarelli scrittore di racconti o conduttore di Blu Notte.