Su Fox Crime sono state trasmesse
le prime quattro puntate, prima della pausa estiva. E’una serie americana
remake di una nordica (“Bron”), che ha un incipit molto interessante: su un
ponte al confine tra Stati Uniti e Messico viene ritrovato il cadavere di una
giudice che si occupava di immigrazione clandestina. Sul posto arrivano una
detective americana, Sonya Cross, interpretata da Diane Kruger, e uno
messicano, Marco Ruiz (Demian Bichir). Fanno una macabra scoperta: il cadavere
è tagliato in due all’altezza del bacino. Meglio ancora: le due metà
appartengono a due persone diverse. Quella superiore è della giudice, mentre la
parte inferiore è di una giovane messicana scomparsa.
Fatta la necessaria premessa di
trama, con questo espediente un po’ horror per acchiappare il pubblico dalla
prima puntata, vengo al senso del post. Perché in The Bridge tutto è giocato
sul filo del doppio.
Fin dal titolo. Il ponte
rappresenta il collegamento tra due stati, o meglio due mondi, gli USA e il
Messico, le cui differenze culturali e di usi e costumi sono continuamente
sottolineate dalle parole e dall’agire dei personaggi.
I personaggi, già: lei americana
e lui messicano sembrano una coppia da buddy movie, che dopo l’iniziale
diffidenza per non dire ostilità porterà ad una maggiore collaborazione (fino a
qual punto lo scopriremo), come da cliché.
Ma il bello è che i due
protagonisti sono a loro volta dei doppi: Sonya Nord è glaciale, maniacale sul
lavoro, sembra fidarsi solo del suo capo, apparentemente inadatta alle
relazioni, capace di entrare in locale, addocchiare un macho e chiedergli
direttamente se vuole fare sesso con lei.
Però viene lanciato un sassolino
nello stagno del suo passato: qualcosa che ha a che fare con la scomparsa di
una sorella e con dei cavalli. E’ l’unico momento in cui si lascia andare, in
presenza del suo fido capo, è il momento in cui la scorza si incrina e una lacrima
scioglie il suo ghiaccio. Cosa sarà questo trauma del passato ce lo diranno le
prossime puntate.Anche il messicano non è monocolore: è legato alla famiglia, si consulta spesso con la moglie, che sta per dargli un altro figlio, ma non resiste al fascino di Charlotte (Annabeth Gish), moglie di un proprietario terriero americano che era solito fare la spola tra il Texas e il Messico, per motivi non proprio legali.
A ben vedere, è doppio anche
l’incipit, perché sul ponte del ritrovamento dei cadaveri dimezzati passa anche
il destino di Charlotte e di suo marito, infartuato su un’ambulanza proveniente
dal Messico che Sonya non vuol far passare per non contaminare la scena del
crimine e Marco si.
Anche Charlotte deve fare i conti
con la doppia vita di suo marito.Quindi su quel ponte parte anche una doppia traccia narrativa: quella dei cadaveri a metà e quella dei traffici dell’infartuato.
Le prime quattro puntate mi hanno
fatto una buona impressione. L’intreccio fa presagire qualcosa di complesso ma
non confuso, il tema del doppio, a me caro e caro agli sceneggiatori di gialli
e noir, frequentato quasi sempre in chiave psicologica da Hitchcock in poi, è
sapientemente incastonato in una trama da thriller solido. L’ambientazione di
frontiera fa sempre un po’ western, il calore, il sudore e la fisicità di certi
personaggi e certi luoghi conferiscono al tutto un atmosfera un po’ malata e
sul chi va là. Alle prossime puntate, dunque…